Da Genova al Peak Lenin, 7134 metri in Kirghizistan: la scalata di Marco Moraglio

È sempre più difficile trovare un angolo di mondo da esplorare con autentico spirito di avventura, ma nonostante tutto scalare una montagna di 7000 metri è ancora una grande impresa, che, a sentirla, sfiora i celebri 8000 dell’Himalaya e della Leggenda. Un angolo a d’uopo per provare a spostare i propri limiti un po’ più in là con l’Alpinismo l’ha trovato Marco Moraglio, genovese di 32 anni, insegnante residente a Pieve Ligure, guida escursionistica, ricercatore e laureato in Storia, soprattutto, sportivo a 360°; in Kirghizistan, seppur tutelato da tutte le premure del caso, scalando il Peak Lenin, 7134 metri, ha attraversato vicende degne delle pagine di Hemingway, Salgari o Verne. Ha posto così a settant’anni esatti dalla conquista italiana del K2, un campo base metaforico per la sua aspirazione di ascendere a tutte le vette più alte del pianeta.

Il Peak Lenin, un nome che impone una certa autorevolezza, anche se forse per i digiuni di Alpinismo non sembra essere così importante, e invece…
“Fa parte dello Snow Leopard, un circuito alpinistico con cinque Montagne di 7 mila metri; ai tempi dell’Unione Sovietica chi le scalava tutte e 5 veniva invitato al Cremlino e riceveva una spilletta commemorativa”

Da dove nasce la passione per l’Alpinismo?
“Un percorso naturale … Da piccolo con i genitori sono sempre andato in montagna a camminare, da lì poi le escursioni sono diventate un po’ più impegnative, poi le escursioni in solitaria, i trekking di più giorni, i trekking in completa autonomia, il percorso da guida e quindi l’alpinismo dal facile al via via più impegnativo”

Hai altre vette importanti sulla tua cintura?
“Una decina di 4000 sulle Alpi, e Il Monte Erbrus, nel Caucaso Russo, le cui due vette gemelle, tra i 5621 e i 5642, lo rendono per alcune convenzioni geografiche la Montagna più Alta d’Europa. La mia prima vera spedizione. Però il Lenin é molto più severo e la storia che c’è dietro é molto più “ricca”

Cominciamo allora a raccontare la tua storia con il Lenin!
“La spedizione è stata dal 6 al 27 luglio. Siamo atterrati alla capitale, Biškek, da lì abbiamo fatto scalo su Osh, da cui ci sono 6 ore di Jeep 4×4 per arrivare al campo base a 3600 metri. A quel punto abbiamo cominciato a fare le prime escursioni di acclimatamento, c’è una montagna, il Petrovsky Peak, 4800 metri, di fianco al campo base, distante appena qualche minuto, 100 metri, si fa un’escursione sino al colle che è a 4000, dunque un altro giorno, un’altra escursione al cosiddetto Passo dei Viaggiatori sulla strada per il Campo 1 e tornando indietro fino al Campo Base, il giorno dopo, ormai l’undici luglio, ci siamo spostati e trasferiti definitivamente al Campo 1. E questo è, ancora, solo trekking!”

 

Peak Lenin

 



Quindi per riscaldarsi tre escursioni attorno ai 4000 metri…e non si è ancora acclimatati!
“Il Giorno dopo, 12 luglio, sia per acclimatazione sia per com’era strutturata la spedizione, abbiamo cominciato a scalare la prima di tre montagne, in ordine: un 5000, un 6000, un 7000 -il Lenin!- . Quindi siamo partiti dal primo, lo Yuhin Peak, 5130 metri, escursionistica, quindi senza difficoltà alpinistiche, ma da non sottovalutare, abbastanza ripida, e, insomma, la salita picchia un po’! A quel punto un giorno di riposo in cui realtà abbiamo fatto esercitazioni e il 14 luglio saremmo dovuti salire a Campo 2. In realtà il passaggio è quello più pericoloso perché pieno di crepacci. Dentro uno di essi è finita una mia compagna di cordata!”

Da qui il percorso verso la vetta comincia a farsi impervio…
“Abbiamo trattenuto la cordata, fatto tutte le manovre necessarie e l’abbiamo tirata fuori. Per fortuna non si è fatta assolutamente niente, sta bene ma naturalmente dopo era un po’ sotto shock. Quindi non siamo andati a campo due, siamo tornati indietro a campo 1, e abbiamo dormito lì. Io ero una specie di “capo spedizione”, in realtà ero quello più vicino a tale “carica” dei quattro impegnati nella spedizione: oltre a me tre clienti. Uno tra loro ha deciso di fermarsi come quella sprofondata nel crepaccio, quindi il giorno dopo il 15 luglio io, l’altra cliente rimasta e la guida di riferimento siamo saliti a campo 2, a 5300-400 metri circa, e il 16 luglio a campo 3, a 6100”

Dunque ora era il momento della montagna “da 6000”
“Sì, a fianco al Campo 3 c’è il Razdelnaya Peak, altezza 6148! Dopodiche il 17 siamo scesi di nuovo a campo 1. A quel punto la cliente venuta con me ha deciso di fermarsi perché era troppo provata fisicamente, invece io sono rimasto due giorni a campo 1 a fare riposo, aspettando la finestra di bel tempo che si è aperta per il 22 luglio. Quindi il 20 io e Denis, la guida, siamo saliti a campo 2, il 21 luglio a campo 3, e la notte del 22 attorno alle 2 del mattino siamo andati fino in cima al Peak Lenin!”
 

 

Campo base Peak Lenin

 


Cosa hai provato?
“In cima una grandissima soddisfazione e una grandissima emozione, anche se in montagna quando arrivi in Vetta sei solo a metà strada, quindi devo tenere un sacco la concentrazione perché ci sono un sacco di difficoltà che ti attendono al ritorno! Non ho usato nessun portatore, anche se volendo ve ne sono disponibili. Ho cercato di farla nello spirito più puro in cui potesse essere fatta. Non ho fatto nessuna impresa particolare, non ho fatto la storia dell’alpinismo ma ho vinto una bella sfida con me stesso e, soprattutto, sono felice”

Quali sono state le difficoltà più grandi?
“A livello tecnico non è una montagna impossibile, nei vari passaggi salvo quello tra campo 1 e 2 abbiamo spesso avanzato slegati (non in cordata), assieme a tante altre persone. Siamo stati molto fortunati il giorno di vetta perché il problema principale, e in generale per tutto l’alpinismo di alta quota, è proprio legato al meteo. Infatti, credo che a giugno siano saliti solo in tre, e a luglio siamo stati i primi o tra i primi, perché sino ad allora per tutto il mese non c’era mai stata la finestra di bel tempo. O meglio: era anche bello ma c’era troppo vento e non si poteva salire”

A quel punto la discesa e il ritorno
“Siamo andati in cima, siamo tornati giù a campo 3, e la mattina-notte dopo, alle 4 del mattino, siamo ripartiti verso il campo base, arrivandoci nel pomeriggio”

Quali sono le ambizioni future?
“Un sogno sarebbe completare il 7 Summits: scalare la vetta più alta di ogni continente. La vera grande sfida all’orizzonte è fare almeno un 8000, il Cho Oyu”

Perché proprio il Cho Oyu?
“Il Cho Oyu perché tecnicamente non é uno degli 8000 più difficili ed é una montagna che mi ha sempre affascinato, anche se c’è il problema permesso dato che la via di salita che vorrei fare é in Tibet e quindi bisogna interfacciarsi con la Cina. Come diceva il grande Alpinista della prima metà dello scorso secolo, Giusto Gervasutti: “”Se mi fosse dato di vivere, senza la possibilità di lottare per un sogno bello quanto inutile, sarei un uomo finito”.